Madrid, circolo “real” di uno “special”
Nell’Olimpo calcistico di Madrid, tra fasti e sfarzi di ogni genere, qualcuno sente aria di paura. L’alone di epicità che circondava la sua figura al momento dell’arrivo nella capitale spagnola sembra essersi smaltito inesorabile, come se avesse saldato anzitempo il proprio conto con la sorte. Nella casa di Florentino Perez e delle “merengues”, dove il ben di Dio è all’ordine del giorno e l’importanza ti viene appioppata anche se non sei nessuno, un volto iberico comincia ad apparire più scuro che “blanco”: quel debito con il destino forse è già stato pagato del tutto da tempo.
Calarsi in una dimensione nuova non è mai facile, specie se nel farlo si ha la presunzione di poter conseguire con tutta leggerezza il cosiddetto salto di qualità, di poter comandare a bacchetta come un bambino capriccioso sapendo per mezzo di eteree garanzie anticipate che i risultati daranno sempre ragione. Quando ci si pone di fronte a sfide più grandi di quelle precedenti, forse anche più grandi di sè, si devono però avere l’accortezza e l’onestà intellettuale di ammettere che qualcosa di più sia necessario attuare, che non sia sufficiente rimanere quelli che si era prima, limitandocisi magari a fare e dire proprio le stesse cose di prima, col rischio di snaturare il lavoro passato. Come si può superare però ciò che viene considerato perfetto?
L’uomo che è stato chiamato a comandare trionfante, per merito del suo unicameralismo benedetto, è ora lo stesso uomo che sta già pensando a come risolvere i problemi col se stesso del futuro, che avrà perso di colpo le certezze di una vita…pardon, carriera…e dovrà inventarsi ben presto un nuovo “io” di fronte a registratori vocali, trasduttori elettronici e quant’altro la diavoleria umana abbia mai creato prima che potesse farlo lui.
Generare da soli guerre civili spinti dal solo bisogno di auto-alimentare il proprio spirito narcisistico, calcando con forza su di un marchio personale già impresso nella cultura popolare, non è mai foriero di felici accadimenti, ed i problemi – sì, i problemi – appena prima modesti, si gonfiano grazie a mass-media che sbucano dai tombini, saltano di liana in liana e sarebbero disposti a cantare “chicchirichì” già alle 4:00 del mattino; l’istrione che si ha dentro di sè, se tale, esce sempre allo scoperto, ed il flash imponente lo coglie.
Non c’è peggior dilemma che fronteggiare un nemico che, piuttosto che inferiore o superiore, sia perfettamente uguale a se stessi: ogni arma sfoderata, ogni colpo messo a segno tornerà indietro con la medesima potenza, col risultato che non si vince mai. Ecco, non si vince mai. E se non c’è la vittoria, o anche, perchè no, pure più di una, tutto l’iter precedente diventa improvvisamente sbagliato, da rinnegare e ripudiare, senza portare a giusta fine il romanzo di formazione o porre minimamente il dubbio che in altre circostanze, ma con le stesse modalità, la situazione era stata completamente l’opposta. E così, quel volto iberico così tetro e negativo, si trasforma davanti agli occhi di tutti prima in un semplice volto lusitano, e poi nel cipiglio di una banale guida umana che altro non può fare che crucciarsi per l’eterna rivalità con il mondo che si è auto-prefissato.
Nell’Olimpo calcistico di Madrid, tra fasti e sfarzi di ogni genere, qualcuno sente aria di paura. E odore di “zero tituli”.