La storia del calcio: 66 anni nel ricordo del Grande Torino
“Forse era troppo meravigliosa questa squadra perché invecchiasse. Forse il destino voleva arrestarla nel culmine della sua bellezza”.

Forse ha ragione Carlin, forse solo un disegno del destino dietro quel 4 maggio 1949 che segna tragicamente la storia del calcio e dell’identità di tutti gli italiani. Il Grande Torino non è solo una squadra: è il simbolo di un’Italia desiderosa di rinascere dopo le barbarie della guerra, di un’Italia che si riconosce nei trionfi granata e che vive della bellezza e forza di questo gruppo. Il Grande Torino è l’orgoglio del popolo tricolore di quegli anni, ma è un sogno destinato a finire. Un tragico errore, un guasto alle apparecchiature di bordo forse, bastano per trasformare quel sogno in incubo. Un incidente tristemente noto a tutti firmato Superga. Ore 17:05: il pilota dell’aereo su cui viaggiano i granata, diretto all’Aeronautica di Torino, pensa di trovarsi a duemila metri d’altezza e quindi di sorvolare la collina di Superga. Ma i metri di altezza sono molti di meno, circa duecento. L’impatto è inevitabile. La sciagura distrugge l’emblema di una Nazione, il simbolo più puro di un calcio sano e vincente, l’orgoglio di un intero popolo che supera la fede calcistica. Lo schianto ai piedi della Basilica di Superga e l’entrata nella storia. E dire che i granata in Portogallo neppure ci sarebbero dovuti andare. Una scommessa alla base di tutto. Il capitano del Benfica, Ferreira, convince il capitano granata Valentino Mazzola a portare a maggio il Torino a Lisbona per un’amichevole speciale, quella del suo addio alla squadra. “Se a San Siro, contro l’Inter non perderemo, andremo in Portogallo”, scommette Mazzola. Il Presidente della squadra piemontese, Novo, poco propenso ad accettare questo impegno alla fine acconsente. Poi lo 0-0 con l’Inter, il che in pratica assicurava lo scudetto, e il giorno dopo la squadra parte per Lisbona. Il Benfica stravince in una partita comunque emozionante e bella da vedere. Poi il rientro, la strage ed è lutto nazionale. Ed oggi, in occasione del sessantaseiesimo anniversario di quel giorno, tutti, sportivi e non, ricordiamo quella data come la pagina più triste del calcio italiano, un incidente che ha reso immortali prima ancora che calciatori, veri uomini di sport. Mazzola, Bacigalupo, Grezar e i fratelli Ballarin, e poi ancora Menti, Loik, Rigamonti, Grava, Gabetto, Operto, Ossola, Fadini, Bongiorni, Maroso, Martelli, Schubert, gli allenatori Erbstein e Levesley, più equipaggio, dirigenti e giornalisti. Un anniversario nel ricordo del Grande Torino che vive ancora “negli occhi di chi ci crede” e che forse, ricordando le parole Indro Montanelli, non è morto ma è soltanto “in trasferta”.