Come quando un figlio va via di casa
Quando tutta la famiglia è sulla porta; la madre piange senza nasconderlo, il padre nasconde l’amarezza sotto un velo di acredine intessuto dagli anni di litigi – quelli classici tra un figlio e un padre -, mentre i fratelli fanno buon viso a cattivo gioco, consci che da adesso lo spazio a disposizione sarà notevolmente ampliato.
Questo, tutto questo è stato l’addio di Josep Guardiola a quel Barcellona che negli anni lo ha fatto nascere, crescere, diventare qualcuno, in campo e fuori; poche parole, ma chiare, come Pep ha sempre fatto e saputo fare.
La notizia dell’addio, ormai nell’aria da mesi, ha fatto il giro del mondo già prima di essere pronunciata; il figlio s’era già confidato coi genitori, ora bisognava solamente dirlo al resto del parentado.
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Con l’addio di Pep al Barcellona si chiude un ciclo; un ciclo durato meno di un quinquennio, ma costellato di trofei – ben tredici a livello di squadra, più i nove ottenuti a livello individuale – riconoscimenti, strette di mano e sorrisi ad oltre trenta denti.
Nessuno in questi anni ha minimamente pensato di poter scalfire una egemonia che aveva le radici nella notte dei tempi e che era giusto portare avanti.
Se c’era un allenatore giusto per una squadra di marziani, questo era Pep; solido conoscitore di calcio, fresco interprete di un gioco nuovo per un nuovo millennio, sempre al passo con l’evoluzione, dentro e fuori dal campo. Eccola la famiglia perfetta.
Ancor prima di stampa e tifosi, sono i suoi giocatori a rimpiangerlo.
Non si tratta di vittorie o sconfitte; un figlio sa, se lo sente quando è il momento di andare, mettere un pò di cose in uno zaino per vedere quel che si dice anche fuori dalla porta, meglio ancora se in quello zaino ci sono esperienze e vittorie già conquistate.
Tutti i figli però, su quella porta, tra quelle lacrime, fanno una promessa; andranno e saranno – si spera – vincitori, ma, portato a termine il loro compito, torneranno dalla grande madre, magari per prendere il posto del capo famiglia.