Spagna: analisi del clamoroso flop mondiale delle “Furie Rotte”
Come la Francia nel 2002 e come l‘Italia nel 2010, anche l‘Invicibile Armada della Spagna dice prematuramente addio ai Mondiali da campione in carica. Già, dopo le pesanti sconfitte rimediate con Olanda, nella ‘rivincita’ della finale di Sudafrica 2010, e Cile, le Furie Rosse sono già fuori dalla rassegna iridata senza aver bisogno di giocare l’ultima partita del girone contro l‘Australia, anch’essa eliminata. Una deblace assurda ed inaspettata, che regala numeri impietosi (seppur imparziali) per la nazionale che negli ultimi anni ha dominato il calcio internazionale, vincendo anche le ultime due edizioni degli Europei (2008 e 2012): nelle due partite giocate, gli iberici hanno segnato solo una rete subendone ben 7. Nemmeno i suddetti Galletti transalpini e gli azzurri di Marcello Lippi hanno fatto peggio. Ed ora, inevitabilmente, partono le varie analisi su come questo è potuto succedere.

La ragione primaria di questo flop sarebbe l’inefficacia e la prevedibilità del tiqui taca, finora dogma tattico intoccabile per gli uomini di Vicente Del Bosque che ora sembra giunto al capolinea. La lunga ed avvolgente manovra di passaggi rasoterra ha ormai perso quel potere che stordiva gli avversari come una volta. Come è capitato contro gli Oranje e i sudamericani, gli allenatori avversari (rispettivamente Van Gaal e Sampaoli) hanno infoltito il centrocampo ingolfando così la trama degli iberici interrotta spesso dagli interventi dei difendenti che hanno coperto con maestri ogni spazio che poteva esser loro fatale. Inoltre, nelle volte in cui i giocatori della Spagna sono riusciti ad arrivare nell’area di rigore avversaria, non hanno avuto il famoso guizzo, noto come ‘passaggio vincente‘, che un tempo portava alla finalizzazione dell’assillante tiqui taca. In tal senso si sarebbe dovuto sfruttare in maniera diversa l’apporto di Diego Costa, un ‘vero nueve’ preferito al classico ‘falso’ visto in campo in molte altre occasioni. E così il sistema di gioco che ha fatto la fortuna di Casillas e compagni è finito per essere uno dei punti deboli della selezione. Coincidenza da non sottovalutare è che la fine del tiqui taca delle Furie Rosse è arrivata subito dopo il tramonto di quello del Barcellona, reduce da un’annata decisamente opaca: il blocco blaugrana formato da Busquets, Piquè, Jordi Alba, Xavi, Iniesta e Pedro ha risentito delle scorie di una stagione avara di soddisfazioni a livello di club che avuto ripercussioni anche durante questi due match mondiali. Ricordiamo come il manipolo catalano sia stato precedentemente decisivo nel passato recente per le sorti della Spagna.
E se parliamo di tattica non possiamo non citare alcune scelte discutibili del ct Del Bosque. Forse sarebbe stato meglio portarsi in Brasile uno tra Llorente e Negredo avendo così più soluzioni offensive, visto che Torres è stato pressoché abulico. Incomprensibile il fatto che non sia stata data una chance a David Villa, che quest’anno ha fatto più che bene con l’Atletico Madrid. Ad una squadra lenta e con poca verve sarebbe servita una marcia in più sulla fascia, con lo scattista del Manchester City Jesus Navas o il napoletano Callejon che potevano essere utili per cambiare passo.
Poca lucidità e poca inventiva dunque, dovute anche ad una condizione fisica assai precaria. Gli spagnoli non hanno espresso quell’ aggressività ed intensità di un tempo. Ergo, tante sono state le situazioni in cui i giocatori hanno sofferto il pressing avversario e hanno patito i veloci contropiede che spesso hanno fatto fatto male alla retroguardia. Molti elementi hanno pagato una stagione logorante, come Xabi Alonso e Sergio Ramos, spremuti come un limone durante la cavalcata verso la ‘Decima’ Champions League conquistata col Real Madrid.
Da considerare, senza ombra di dubbio, l’aspetto psicologico. Sono mancate le motivazioni di un gruppo che probabilmente aveva la pancia piena dopo anni e anni di successi. La voglia di vincere è mancata nello spogliatoio iberico, così come sono mancati il carisma e la leadership di capitan Iker Casillas, che in questa rassegna ci ha messo pò del suo ( in negativo). La fragilità mentale della Spagna è balzata agli occhi nel match contro il Cile dove i campioni del mondo in carica erano chiamati a dare una prova di forza dopo la brutta scoppola rimediata contro l’Olanda (col pesantissimo risultato di 1-5).
Insomma, il ciclo della Spagna campione di tutto ormai è finito, forse nella maniera più crudele ed ingiusta possibile per una squadra che ha rivoluzionato il calcio degli ultimi anni con una nuova corrente di pensiero ed ha incantato milioni di tifosi ed appassionati. Ma il passato è il passato, il presente è tutta un’altra cosa: ora bisogna ricomporre i cocci per costruire meticolosamente un nuovo futuro.