Addio ad Andrea Pesciarelli: se ne va un cronista “vero”
Non è facile, parlando di calcio o di politica, riuscire a rimanere imparziali e non far trasparire, dal proprio tono di voce, la squadra per cui si fa il tifo o la propria partigianeria. E forse è proprio questa la vera onestà intellettuale: fare il proprio lavoro, la cronaca, lasciando da parte, nei bar o nei salotti le chiacchiere e gli sfottò, i Vaffa! e i Viva!.
L’onestà intellettuale è e deve essere la linfa vitale di un cronista, di un giornalista, e Andrea Pesciarelli ne aveva a sufficienza.
Lo si capiva anche dal modo in cui ha lasciato crescere i suoi figli. Chi ha avuto il piacere come me di condividerne, per tanti anni, l’educazione (scusate la parola grossa) lo sa bene: mai un privilegio nei confronti di Elena e Jacopo, mai una richiesta di favori; piuttosto aumentare la dose di scappellotti e di “lavori forzati”. Per farli crescere alla grande così come continueranno a farlo ora, per conto loro.
Nell’educazione dei figli era dunque come nel lavoro, quel lavoro, il cronista sportivo prima e politico poi, in cui non faceva favori o sconti a nessuno, perchè il cronista racconta, non tifa. Racconta della Roma e della Lazio, non lasciando trasparire, nei servizi in Radio e in TV, l’amore per la seconda e l’odio per la prima: le passioni, casomai, le riservava per gli incontri privati, dove amava lanciare frecciatine sul Capitano.
E allora glielo avresti fatto ingoiare volentieri quel mozzicone di sigaro che teneva a mezza bocca. Sull’altra metà della bocca invece, il sorriso: sempre e comunque.
Il giornalismo italiano prende un grande cronista, ma prima di tutto un grande uomo. Ciao, Andrea.
Il giornalismo italiano perde un grande cronista, ma prima di tutto un grande uomo. Ciao, Andrea.